Per i Greci era silphion, per i Romani silphium o laserpicium: secondo il mito, era un dono di Apollo fatto alla ninfa Cirene, e fece la fortuna dell’omonima città del nord Africa che ne detenne il monopolio. Ritenuto ad oggi scomparso, il silphium nel mondo mediterraneo antico era considerato prezioso e dalle moltissime proprietà.
Se si tratta di una pianta scomparsa, come facciamo a conoscerla? Rappresentata in molte monete coniate nell’antica città di Cirene e descritta dagli autori antichi (in particolare da Teofrasto, padre della botanica), gli studiosi hanno dedotto che questa pianta appartenesse alla famiglia delle Umbrelliferae e forse al genere Ferula, e che fosse imparentata anche con le a noi ben più note piante del finocchio e del sedano.
Facendo un confronto con i “parenti più stretti” ancora presenti nella flora del Mediterraneo, si ipotizza che il silfio potesse raggiungere anche i due metri di altezza, che avesse delle infiorescenze dalla forma ad ombrello o a palla, che il suo tronco fosse solcato da righe all’esterno e cavo all’interno. Ma la caratteristica più importante era che dall’incisione della pianta si poteva ottenere una pregiata sostanza (il succus cyrenaicus) dall’odore acre e dal colore rossastro traslucido, che veniva anche pagata a peso d’oro.
Dalle fonti si sa che questa pianta selvatica si trovava nella Cirenaica, in particolare in una fascia ristretta lungo il golfo della Sirte: nonostante i tentativi fatti in varie aree di coltivarla, non si ebbero mai risultati. Il geografo greco Strabone, nel descrivere l’ambiente in cui cresceva tale pianta miracolosa, affermava che «la sua lunghezza procedendo verso oriente è di 1900 stadi, la larghezza nota è di 300 stadi o poco più».
Nel mondo antico, se ne fece un uso quasi spropositato, tanto che era anche oggetto di contrabbando. Il silfio veniva considerato come una panacea di ogni male: presso gli Egizi veniva usato soprattutto per il sollievo della pelle e per la cura dei capelli, ma presso i Greci (testimonianze famose sono quelle del medico Ippocrate e del farmacologo Dioscoride) era usato anche per la cura contro disturbi di varia natura, come quelli della respirazione o della digestione o della circolazione. Era soprattutto legato alla sfera della femminilità e alla sterilità/fecondità, altro motivo per cui divenne ben presto una pianta famosa e richiesta. Ma anche nel mondo della cucina se ne faceva largo uso: troviamo il silfio in ben 67 ricette tramandateci nel De re coquinaria di Apicio, e ancora oggi piante simili sono note nella cucina nord africana. Il silfio divenne la spezia per eccellenza, sinonimo di opulenza e ricchezza. Il sapore? Sembra che avesse un sapore simile a quello dell’anice, anche se non potremo mai dirlo con certezza.
Prova tangibile della sua preziosità era il fatto che il silfio entrò a far parte anche del Tesoro di Roma: addirittura, Cesare nel 49 a.C. ne sottrasse quasi 500 kg per far fronte alle spese belliche. Le fonti dicono anche che si poté fare dono all’imperatore Nerone solamente di una pianta!
Sembra che verso il II secolo d.C. la pianta potesse considerarsi estinta per l’uso indiscriminato o per le greggi affamate o per i popoli nomadi in guerra che devastavano il territorio, eppure veniva ancora nominata verso il V secolo d.C., e il suo ricordo rimase per molto tempo.
Che sia quindi una pianta effettivamente sparita? O che sia invece ancora presente? I dubbi sono molti e gli studi proseguono, e l’ipotesi che il nome silphium indichi solo un insieme generico di piante ancora esistenti si sta insinuando tra gli studiosi, che vogliono incentivare la ricerca.
Una curiosità: nel 1800 la Società Francese di Geografia istituì un premio per chiunque fosse riuscito a ritrovare la mitica pianta scomparsa, ma nessuno riuscì nell’impresa. Che la pianta sia ancora nascosta in qualche sabbioso angolo della Libia?
Immagine:
– Tetradracma con Zeus Ammone e il silfio (ex New York XXVII, 2012);
– Ferula Tingitana;
– Coppa di Arcesilao con scena di pesatura del silfio, conservata al Cabinet des médailles della Bibliothèque nationale de France.