Di Primo Levi, scrittore e intellettuale del nostro Novecento, accade sovente di ricordare due cose: la sua esperienza ad Auschwitz e il suo libro, scritto nemmeno due anni dopo, Se questo è un uomo. Riflettendo sulla salienza innegabile di quanto appena citato si rischia tuttavia di tralasciare l’altro della sua memoria e della sua opera, facendogli – è il caso di dirlo – un torto imperdonabile. Ed ecco che emerge un (altro) suo capolavoro, levigato con la cura e la devozione che un chimico riserva agli elementi: Il sistema periodico. Pubblicato per Einaudi nel 1975, l’opera ci mostra un Levi maturo e a tratti ironico che narra una storia personale e collettiva attraverso 21 racconti, ognuno che porta il nome e in qualche modo l’essenza di un elemento della tavola periodica. Dietro e dentro lo scrittore, il testimone, l’uomo e sempre (nemmeno una riga di assenza) il chimico Levi, si articolano narrazioni della sua infanzia, della bizzarra genìa della sua famiglia di ebrei piemontesi, della profonda amicizia con l’amico Sandro (è tra le pagine di Ferro che troviamo probabilmente il ritratto più bello che si possa fare di un amico), degli anni universitari, del lavoro di chimico tra le rovine dell’Italia del dopoguerra. Calvino definì questo libro «il più primoleviano di tutti» ed è in effetti il lavoro «nel quale possiamo contemplare intera la sua persona fisica e morale; intera, e insieme scomposta nei suoi elementi primi» (cit. Centro Studi Primo Levi). Il libro si svela continuamente anche come il ritratto di una generazione passata attraverso il ventennio, come un’indagine sulla materia a tratti ostile e a tratti benevola, come una versione del mestiere di vivere, prima e dopo Auschwitz. Addentrarsi nelle pagine de Il sistema periodico è rendere giustizia alla meravigliosa complessità di Primo Levi e del suo messaggio.
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