UN PATRIMONIO DA SALVARE

Fra i beni artistici del territorio non vanno dimenticati quelli legati alle chiese. Non parliamo tanto di quadri, statue, affreschi e particolari architettonici degni di nota che sono sempre sotto gli occhi di tutti, soprattutto nelle chiese più antiche, ma bensì di tutti quegli oggetti e arredi vari legati al culto, che ormai non sono più in uso e che giacciono dimenticati in qualche sacrestia o deposito, lasciati lì a consumarsi fra tarli, muffe, umidità, ruggine e salsedine, spesso preda di collezionisti che se ne intendono, e che poi ritrovi in qualche mercatino dell’usato, dove, guarda caso, riescono a fruttare quattrini in quantità. L’elenco che se ne può ricavare sarebbe lungo: turiboli e navicelle, candelieri, ostensori, teche, pissidi, calici e simili, lanterne, lampade, vecchi crocifissi e statue, paramenti antichi, campanelli e ribèghe del venerdì santo, cartegloria, baldacchini, apparecchi eucaristici per le Quarant’Ore, reliquiari, ecc. Qualche parrocchia più sensibile ha provveduto a conservarli, magari creando un piccolo museo parrocchiale, che è in grado di testimoniare la storia della fede di quella comunità, altre invece se ne sono liberate come di un inutile peso, altre ancora li conservano senza curarsi del degrado del tempo e spesso sono i parroci stessi, con i loro periodici cambi di paese, a ignorarne l’esistenza, oberati come sono dai molti impegni pastorali. Non sarebbe male pensare ad un loro recupero, e pare che anche da parte delle curie diocesane arrivi qualche timido invito in questo senso. Tuttavia quello che è andato finora perduto è davvero notevole, e talvolta si è trattato di veri capolavori, eliminati più che altro per faciloneria ed ignoranza.

 

 

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