Carlo Scarpa aveva affermato in una conferenza tenuta a Madrid nel 1978, dopo averlo ribadito in più occasioni, che la tomba Brion era l’unica delle sue opere che andava a vedere volentieri, fermandosi a meditare, quasi volesse ancora sentire i pensieri che lungamente lo avevano accompagnato nel corso della progettazione. Del resto, a quest’opera – adagiata ai piedi delle colline di Asolo, in provincia di Treviso – Scarpa non aveva certo lesinato cure e attenzioni; e soffermare lo sguardo su ogni sua parte equivaleva forse a udire ancora l’eco dei propri pensieri, delle proprie idee, quasi fossero delle “fantasie” che tornavano a colpirlo. Carlo Scarpa ha lavorato a questo complesso funerario a partire dal 1969, dal momento in cui la signora Onorina Tomasin Brion, per rispettare il volere del marito Giuseppe Brion di essere seppellito nel paese natale di Altivole, gli chiede di approntare un progetto, che col tempo aumenterà le sue dimensioni fino a raggiungere quella attuali, effettivamente realizzate. Per lunghi anni dunque, e fino alla morte avvenuta nel 1978, Carlo Scarpa ha lavorato a quest’opera, rivedendola, limandola continuamente, come del resto ci dimostrano le migliaia di disegni prodotti, incluse le innumerevoli soluzioni, molte delle quali studiate fin nei dettagli e che suggeriscono, a quanti le vedano, realtà alternative a quella costruita. E’ quindi facile immaginare con quanta forza, con quale energia e incessante dedizione egli si sia impegnato nel portare avanti questo progetto. Nel momento in cui assume l’incarico, la famiglia Brion – che era a capo della Brionvega, un’azienda a quel tempo molto famosa per la produzione di apparecchi radiofonici e televisivi – stava perfezionando l’acquisto di un piccolo appezzamento di terreno di circa 68 mq., con annessa cappella, all’interno della recinzione cimiteriale comunale, proprio in corrispondenza dell’entrata attuale, lungo il muro orientale. L’area però era poco estesa. Forse per desideri della vedova o fors’anche sulla spinta dell’architetto, vengono acquistati alcuni lotti confinanti, che portano l’area ad un totale di 2.400 mq., occupando per intero i lati settentrionale e orientale del cimitero, dalla parte esterna del cimitero stesso. A partire da questo momento, prende avvio l’intenso lavoro di progettazione di Scarpa. Alcuni elementi chiave, seppur diversamente conformati nel tempo, sono presenti fin dall’inizio: un accesso all’area – i cosiddetti propilei – la tomba dei coniugi al di sotto di un arco o arcosolio e la tomba dei familiari, prevista in alcuni schizzi iniziali all’interno di una struttura posta su uno specchio d’acqua all’angolo nord-est. Successivamente Scarpa aggiungerà una cappella o tempietto e in padiglioncino sull’acqua. Un complesso articolato dunque, realizzato e inquadrato entro un panorama fatto di campi e colline, concepito per la morte, ma in costante rapporto con la vita.
Anche perché al suo interno bisogna muoversi, ed i rimandi visivi tra una parte e l’altra ricuciono lo spazio allo spostamento, alla visita e insieme alla meditazione. Un punto di sosta è il padigliocino sull’acqua. Da quell’ ”isola” si può guardare alla tomba o, volendo, verso la natura circostante, facendo propria la consapevolezza che esiste un ciclo della vita, il cui miracolo, guardandici attorno, riempie i nostri occhi. E’ con dolcezza che Scarpa affronta qui, anche per se stesso, il tema della morte. Il cimitero, quindi, come luogo liminare, posto tra mondi diversi ma comunicanti e che Scarpa svolge, sviluppa e presenta, ricorrendo a immagini che in modo sempre più insistito, spesso intrecciandosi tra loro, addolciscono il dolore della morte; come quando ricorda il lungo racconto che Edmondo De Amicis dedica a Costantinopoli, il titolo di un suo libro del 1887, testo che Scarpa aveva letto da giovane e che spesso gli si affacciava alla mente. Carlo Scarpa, morto nel 1978, è qui sepolto, in un angolo tranquillo, alberato di alti cipressi, posto tra la recinzione orientale del cimitero comunale ed il cimitero Brion.
Fonti: J.K. Mauro Pierconti; documentazione fotografica: Sekiya Masaaki.