I TETRARCHI DELLA BASILICA DI SAN MARCO A VENEZIA

Dopo aver attraversato il Ponte dei Sospiri, volgendo le spalle al Canale della Giudecca e affacciandosi al loggiato di Palazzo Ducale, è probabile che il nostro sguardo incroci quello dei Tetrarchi, un pregevole dettaglio architettonico in altorilievo incastonato nel lato sud della Basilica di San Marco, in corrispondenza del Tesoro di San Marco, che contribuisce a rendere la piazza veneziana un esempio di rara bellezza.

Le quattro figure, che costituiscono un gruppo unitario, vennero scolpite a partire da un materiale lapideo, il porfido, che sin dall’età di Tiberio era associato frequentemente ed in maniera esclusiva alla figura imperiale ed utilizzato per i progetti monumentali di Roma e, in seguito, di Costantinopoli, dati il colore rosso dello stesso e la sua preziosità. Il gruppo proviene da Costantinopoli e fu trasportato a Venezia dopo la conquista della città nel 1204 ad opera delle truppe crociate.

Il monumento, databile tra il 293 e il 303 d.C. circa, approda a Venezia insieme ai quattro cavalli di rame e bronzo conservati all’interno della Basilica di San Marco solo in epoca medievale come “spolia”, bottino di guerra frutto dell’assedio dei veneziani a Costantinopoli nel 1204, al termine della quarta Crociata indetta da papa Innocenzo III.

Considerato un raffinato esempio della scultura tardoantica, il complesso, probabilmente attribuibile a maestranze egiziane, riprende in pieno lo stile orientale, caratterizzato da uno sguardo fisso e occhi scavati, un atteggiamento rigido e poco naturale che ricorda l’iconografia bizantina.

ll gruppo statuario raffigura probabilmente Diocleziano, Massimiano, Galerio e Costanzo Cloro, rispettivamente due «Augusti» e due «Cesari», i quattro membri della prima Tetrarchia («il governo dei quattro») istituita da Diocleziano nel 293 d.C. per garantire un’amministrazione più funzionale ed efficace dell’Impero.

Il complesso scultoreo addossato alla Basilica veneziana ben rappresenta il sentimento di fraternitas che accomunava i quattro e assicurava la continuità del potere. In particolare, i due personaggi più maturi cingono le spalle dei più giovani con il braccio destro, mentre la sinistra stringe una spada, in questo caso identificabile con un elsa persiana a forma di testa d’aquila, dettaglio che conferma l’origine orientale dell’opera, sorretta da un balteo in cuoio gemmato.

La differenza di età è evidente nel dettaglio della barba e dei segni sul volto che marcano l’avanzare del tempo nel caso dei due imperatori più anziani.

I quattro personaggi indossano lo stesso tipo di paramenti, una lorica che copre petto, pancia, fianchi e schiena fino alla cintura, come una corazza. Sulle spalle dei tetrarchi ricade un paludamentum drappeggiato e fermato sulla spalla sinistra, che faceva parte della divisa dei generali romani.  Inoltre, i quattro indossano dal copricapo pannonico, in uso presso l’esercito romano del periodo tardo.

Una versione analoga di questo particolare complesso scultoreo è oggi conservata presso gli archivi della Biblioteca Vaticana. Più precisamente si tratta di quattro figure, sempre in porfido rosso, dell’altezza di 56 centimetri poste a coppie su due colonne gemelle che misurano 3,85 m. In questo caso, tutti i quattro personaggi presentano una fitta barba. Al posto del copricapo pannonico, sono cinti da una corona di lauro, e invece della spada tutti sorreggono nella mano destra un globo. Nonostante l’interessante affinità fra i due complessi, l’esemplare veneziano resta il più raffinato a livello tecnico e stilistico.

 Nel 1958 Paolo Verzone ipotizzò che il monumento ai tetrarchi fosse originariamente ubicato in un luogo di Costantinopoli chiamato Philadelphion (“amicizia fraterna”), dove i Patria attestano la presenza di un gruppo scultoreo con delle figure abbracciate che identificano con i figli di Costantino. La provenienza delle statue da Costantinopoli è confermata oltre ogni dubbio dal ritrovamento, avvenuto nel 1965, durante gli scavi del Myrelaion (moschea Bodrum), del frammento col piede mancante di una delle statue, reperto che oggi è conservato nel Museo Archeologico di Istanbul.

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