LA COPPA DI DJEHUTY

Questa splendida coppa in oro, acquisita dal Musée du Louvre nel 1827, faceva parte del ricco corredo funerario che accompagnò nel suo ultimo viaggio il generale Djehuty, favorito del faraone Thutmosi III (XVIII dinastia, 1479-1425 ca.). Fino pochi mesi fa non era nemmeno necessario raggiungere Parigi per poterla apprezzare dal vivo: essa, infatti, era tra i reperti esposti presso la mostra “L’Egitto di Belzoni”, tenutasi a Padova nelle sale del Centro Culturale San Gaetano.

Questa elegante opera di artigianato specializzato, decorata a sbalzo e incisione, presenta al centro un fiore con 24 petali, il cui stile tradisce l’influenza dell’arte cipriota; attorno, 6 pesci di Oerochromis niloticus, simbolo di eternità, nuotano in circolo e, infine, una ghirlanda di 15 fiori di loto completa l’ultima fascia decorativa.

Sul bordo esterno corre una speciale dedica, dettata dal faraone in persona. Essa recita: “Concesso dal favore reale di Menkheperra (Thutmosi III), re dell’Alto e del Basso Egitto, a sua eccellenza il nobile, padre del dio, amato dal dio, l’uomo di fiducia del re in tutte le terre straniere e sulle isole in mezzo al mare, lui che riempie i magazzini di lapislazzuli, argento e oro, il generale, il favorito del dio perfetto, signore delle Due Terre, lo scriba reale Djehuty, giusto di voce”.

Ma quale impresa avrà mai compiuto il generale Djehuty per meritare un simile riconoscimento dal proprio sovrano?

Per rispondere a questa domanda ci viene in aiuto un altro reperto, realizzato con un materiale meno prestigioso dell’oro ma non meno prezioso: il papiro Harris 500, conservato al British Museum.

Esso riporta l’antico racconto dal titolo “La presa di Joppa”, noto anche come “La beffa di Jaffa”. Vi si narra di come Djheuty, nel teatro della campagna espansionistica di Thutmosi III in Siria, avesse vinto le difese della belligerante città di Jaffa con un astuto stratagemma: egli nascose duecento dei suoi soldati in alcune ceste, che vennero caricate su degli animali da soma. Questi furono condotti presso le porte della città, dove un araldo annunciò la resa degli Egiziani e la consegna di ingenti tributi, versati all’interno delle ceste. I soldati, introdottisi con questo espediente all’interno delle mura, uscirono nottetempo dai loro rifugi e conquistarono facilmente la città, riportando al loro sovrano immense ricchezze.

A qualcuno questa vicenda farà venire in mente un altro racconto: quello della presa di Troia, datata dalla tradizione attorno al 1200 a.C., che venne conquistata dagli Achei mediante l’espediente del famoso cavallo di legno.

Ma è bene ricordare che la presa di Jaffa si data attorno al XIV secolo a.C., quindi precede il racconto omerico di ben due secoli! Evidentemente l’eco di questa memorabile impresa non si spense con la scomparsa dei suoi principali protagonisti e fu ricca di suggestioni per i tempi a venire.

Djehuty venne sepolto, circondato da oggetti di fine artigianato, a Saqqara, dove nel 1824, Benardino Drovetti, console di Francia in Egitto, scoprì per primo la sua tomba inviolata. Purtroppo la scarsa documentazione prodotta durante le ricerche non ci permette di risalire all’ubicazione esatta della tomba e la mummia del generale di Thutmosi III è andata così perduta, mentre il suo ricco corredo è ormai disseminato in tutta Europa, tra i musei di Leida, Darmstadt, Londra, Torino, Firenze e Parigi.

Quello che non è andato perduto, fortunatamente, è il ricordo di quest’uomo ingegnoso, la cui memoria ha attraversato i secoli giungendo fino a noi.

 

 

 

IMMAGINE: Wikimedia Commons

Autore dell'articolo:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.