“Meditate che questo è stato”, si legge nella poesia che apre Se questo è un uomo. È un verso che riflette tutto il valore e l’importanza della memoria: non solo affinché ciò che è stato non si ripeta, ma anche perché l’impossibilità della rassegnazione all’orrore e alla sua realtà continui a restare custodita nel tempo di chi sopravvive.
Primo Levi, scrittore e chimico, sopravvissuto alla deportazione ad Auschwitz, ha fatto di questo lo scopo della sua vita interiore e letteraria dal giorno della liberazione fino all’ultimo istante della sua vita. Nato a Torino il 31 luglio 1919, Levi venne deportato ad Auschwitz nel 1944, rimanendovi prigioniero un anno.
Le sue pagine hanno svelato al mondo, con una prosa lucidissima e asciutta, la sconvolgente vergogna dei campi di concentramento, raccontata attraverso gli occhi di un uomo impegnato nel preservare la propria dignità sopravvivendo a una tragedia indicibile.
Scrive lo stesso Primo Levi che la sua scrittura scaturisce dalla necessità che la memoria storica non vada smarrita, e soprattutto da «l’impossibilità di rassegnarsi al fatto che il mondo dei lager sia esistito, che sia stato introdotto irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono e quindi sono possibili». È nostro dovere, oggi, tenere viva la testimonianza di quanti dopo Levi, da Pietro Terracina a Liliana Segre, hanno scelto di raccontarci l’orrore vissuto nel lager: ascoltare è far vivere la memoria perché tutto questo non accada più.